201604.14
0

Figlio di due padri. Stepchild adoption e gestazione, Prima sentenza in Italia.

Prima sentenza in Italia sul caso di stepchild adoption.
Per la prima volta in Italia viene riconosciuta una famiglia composta da un bambino e dai suoi due papà, che, tra le tante “famiglie arcobaleno” oggi esistenti nel nostro Paese.
Orbene con la Sent. del 23 dicembre 2015 il Tribunale per i minorenni di Roma, accogliendo il ricorso del marito del padre biologico per l’adozione del figlio di questi, ha consolidato giuridicamente un rapporto familiare già in essere.
Di particolare rilievo appare il ragionamento posto in essere dal collegio nell’analizzare la realtà familiare del bambino adottando, nella parte in cui ritiene che «ciò che è importante per il benessere psicofisico dei bambini è la qualità dell’ambiente familiare che i genitori forniscono loro, indipendentemente dal fatto che essi siano dello stesso sesso o che abbiano lo stesso orientamento».
In seguito al dibattuto tema della “stepchild adoption” dal disegno di legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso (d.d.l. “Cirinnà”, ) l’istituto rientra nel dibattito pubblico italiano grazie alla sentenza del Tribunale dei minorenni di Roma, emessa il 23 dicembre 2015 e resa nota solo il 21 marzo di quest’anno.
Trattasi effettivamente di una sentenza storica, trattando sia la stepchild adoption che la gestazione per altri (GPA, detta anche “maternità surrogata” ovvero, “utero in affitto”).
Inoltre la sentenza assume n particolare rilievo per il suo passaggio in giudicato e venendo così a consolidare, per la prima volta in Italia, «una famiglia formata da due padri e dal loro bambino.
Il Tribunale mostra interesse per il progetto procreativo realizzato dalla coppia in Canada, che definisce “il paese che maggiormente garantisce i diritti alle coppie omosessuali e soprattutto proibisce la maternità surrogata con finalità commerciali, ammettendo solo quella su base volontaria”.
Ciò che manca è però il riconoscimento giuridico della seconda figura genitoriale, espresso in primis nell’atto di nascita italiano, che risulta senza l’indicazione del co-padre.
Vi è dunque un conflitto evidente tra la situazione di fatto esistente, che contempla due genitori effettivi e un bambino”sereno, unito da un profondo legame affettivo ad entrambi», e la legge che invece riafferma sistematicamente detta asimmetria.
Di qui, il ricorso per l’adozione in casi particolari avanzato dal co-padre e accolto dal Tribunale per i minorenni di Roma.
Nella propria motivazione in diritto, il Tribunale parte dal dato del parere negativo espresso dal pubblico ministero sulla richiesta di adozione.
Il Tribunale nota, a tal riguardo, che “nella nostra normativa di settore non v’è divieto alcuno ad adottare per la persona singola, quale che sia il suo orientamento sessuale. Esclusivamente per l’adozione legittimante (nazionale e internazionale) viene richiesto che ad adottare siano due persone unite da un rapporto di coniugio riconosciuto dall’ordinamento italiano, ma nel nostro sistema il legislatore ha introdotto una seconda forma di adozione -l’adozione in casi particolari nell’interesse superiore del minore ”.
La ratio sottesa a tale forma di adozione risiede nel consolidamento dei rapporti tra il bambino e le persone che già se ne prendono cura.
A tal fine, l’art. 44, lett. d, L. 4 maggio 1983, n. 184, richiede solo «la constatata impossibilità di affidamento preadottivo» e non certo, come invece ha sostenuto il pubblico ministero, la situazione di abbandono del bambino, che evidentemente non ricorre nel caso di specie. Qui il Tribunale ritiene «che la norma sia molto chiara e inequivoca».
Anzitutto, la giurisprudenza italiana ha già riconosciuto in svariate occasioni la possibilità di stabilire l’adozione in casi particolari a favore del convivente del genitore biologico, con un ragionamento che privilegia l’interesse concreto del minore sul «trattamento privilegiato accordato al matrimonio.
Si sta consolidando a livello nazionale una giurisprudenza estremamente favorevole all’adozione in casi particolari in seno a coppie omosessuali, proprio sulla base di una valutazione dell’interesse del minore che valorizza -come dice il Tribunale romano- “non solo […] l’idea pluralistica dei modelli familiari, ma anche una concezione funzionale della famiglia che pone attenzione al rapporto prima ancora che all’atto”.
Inoltre, lo stesso Tribunale presta molta attenzione allo statuto giuridico delle coppie di persone dello stesso sesso affermato sul piano sovranazionale dalla Corte europea dei diritti umani nei due casi Oliari c. Italia (21 luglio 2015, ric. n. n. 18766/11 and 36030/11) e Schalk e Kopf c. Austria (24 giugno 2010, ric. n. 30141/04), dalla cui combinazione deriva la constatazione che non è possibile né discriminare due genitori dello stesso sesso né tantomeno, come sostiene il pubblico ministero, svestirsi della propria competenza perché del problema si starebbe occupando il legislatore.
Il Tribunale non esita ad applicare questo principio, originariamente enucleato rispetto a coppie di persone di sesso diverso, all’unione omosessuale. Nell’accogliere il ricorso, il Tribunale osserva da ultimo che “non sono né il numero né il genere dei genitori a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano”. È proprio grazie a questa considerazione elementare che le famiglie omogenitoriali hanno acquisito, anche in Italia, un diritto all’esistenza giuridica.
Commento a cura della dott.ssa Daniela Di Pasquale